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23 maggio ’92, l’esplosione che cambiò l’Italia

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L’attentato del 23 maggio 1992, nel quale morirono Giovanni  Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre uomini della scorta Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifano, rappresenta uno degli episodi più drammatici e significativi nella storia del nostro Paese. Falcone, magistrato di spicco nella lotta alla criminalità organizzata, divenne un bersaglio della mafia proprio per il suo ruolo di simbolo di giustizia e determinazione. L’uso di cinquecento chili di tritolo, che causò un’esplosione devastante, fu studiato per colpire non solo fisicamente, ma anche simbolicamente l’Italia che lottava contro la mafia. In particolare, l’obiettivo era fermare il progetto di Falcone di creare una Superprocura nazionale antimafia, che avrebbe unificato e potenziato la lotta alla criminalità organizzata in tutta Italia. La morte del magistrato innescò una serie di cambiamenti politici cruciali per il Paese. All’epoca, il Parlamento italiano stava affrontando l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica; la morte di Falcone ebbe un impatto immediato sulla politica, che rifiutò candidature ricollegabili ad atteggiamenti ambigui e conniventi con la mafia e seppe dimostrare una forte esigenza di cambiamento e di impegno contro la criminalità organizzata. Questo ambiente politico favorevole al rinnovamento portò, due giorni dopo l’attentato, all’elezione di Oscar Luigi Scalfaro, un presidente che si sarebbe distinto per il suo impegno nella difesa dei valori della legalità. L’attentato di Capaci, dunque, suscitò un tale sdegno nell’opinione pubblica sana, da innescare un cambio di rotta significativo nella politica del nostro Paese. L’onda d’urto che scaturì da quella  tragica esplosione, dopo lo sgomento,  contribuì a rafforzare la determinazione delle istituzioni e della società civile nella guerra contro la criminalità organizzata.

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