La ricerca scientifica è sempre stata un processo complesso che richiede anni di studio, esperimenti e verifiche per arrivare a nuove scoperte. Negli ultimi anni, però, l’intelligenza artificiale, rischia di stravolgere questo equilibrio. A distanza di qualche anno dall’uscita di ChatGPT l’interesse per il mondo dell’intelligenza artificiale è esploso. La sua espansione sta gradualmente permeando anche la ricerca, modificando e “semplificando” il suo laborioso procedimento, entrando nei laboratori e cambiando il modo di fare scienza. Tuttavia, il suo impatto su ogni campo desta preoccupazione per la mancanza di cooperazione nella creazione di un approccio che metta l’uomo al centro e che mantenga la scienza come un bene pubblico globale. Come osserva Yamine Ait-Ameur, capo del dipartimento digitale e matematico dell’ANR, sebbene l’agenzia non adotti direttamente l’AI per le proprie indagini, è cosciente dell’impossibilità di impedirne l’impiego diffuso nella comunità scientifica.
Negli ultimi tempi abbiamo assistito a un cambiamento sostanziale anche nella ricerca di informazione online: i motori di ricerca come Google stanno integrando l’intelligenza artificiale generativa. Questa, infatti, non fornisce una lista di link, bensì dà risposte sintetiche ma approfondite, frutto dell’elaborazione di diverse fonti. È innegabile che gli strumenti dell’intelligenza artificiale possano produrre risultati migliori di quelli degli esseri umani; tuttavia, non essendo noi al passo con la sua velocità di elaborazione, spesso non siamo in grado di spiegarne i risultati in modo affidabile. Ad esempio, Google DeepMind ha recentemente annunciato lo sviluppo di, “AI Co-Scientist”, un assistente virtuale sofisticato progettato per affiancare i ricercatori e accelerare i tempi di scoperta di nuove teorie scientifiche. Rispetto ai motori di ricerca tradizionali, questo sistema è in grado di individuare nessi tra le ricerche differenti, sintetizzare argomenti difficili e avanzare proposte inedite autonomamente. L’aspetto più innovativo, però, è la sua capacità di replicare la struttura stessa del metodo scientifico. Nonostante le sue grandi capacità, il Co-Scientist (o qualsiasi intelligenza artificiale) non può sostituire gli scienziati, ma li affianca come strumento di supporto.
Il contributo dell’uomo resta insostituibile: spetta infatti ai ricercatori analizzare gli output dell’AI per confermarne la validità, ideare le prove sperimentali necessarie e garantire il rigoroso rispetto dei principi etici.
L’intelligenza artificiale, quindi, può avere risvolti negativi sulla ricerca, ma i suoi vantaggi potrebbero rivelarsi altrettanto innegabili.
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