aldo moro

GLI ANNI BUI DELLA REPUBBLICA: LA MORTE DI ALDO MORO

ALMANACCO, PERSONE E PERSONAGGI

Era il 9 maggio 1978, 45 anni fa, quando venne trovato il cadavere di Aldo Moro nel bagagliaio di una Renault 4 rossa, a Roma, a poche centinaia di metri dalle sedi dei principali partiti italiani. Venne ucciso con undici proiettili, dopo cinquantacinque giorni di prigionia; era stato sequestrato il 16 marzo dello stesso anno.

Aldo Moro era nato il 23 settembre 1916 in un paese in provincia di Lecce. Dopo aver conseguito la maturità presso il liceo classico di Taranto, si trasferì a Bari con la sua famiglia. Lì frequentò l’università, in particolare la facoltà di giurisprudenza, e nel 1938 si laureò. Nello stesso anno venne nominato assistente alla cattedra di Diritto e procedura penale, e un anno dopo divenne presidente nazionale della FUCI, la Federazione Universitaria Cattolica Italiana. Nel 1945 venne nominato presidente del Movimento dei laureati di Azione cattolica e diresse la rivista “Studium”. In seguito sposò Eleonora Chiavarelli, dalla quale avrà  quattro figli. L’anno successivo divenne vicepresidente della Democrazia Cristiana e venne eletto all’Assemblea Costituente, l’organo incaricato di redigere la Carta Costituzionale della Repubblica Italiana. Nel 1948 venne eletto deputato in Parlamento, diventando sottosegretario agli esteri nel governo presieduto da Alcide De Gasperi. All’età di quarantasette anni divenne finalmente Presidente del Consiglio, dopo aver ottenuto la nomina di segretario della Democrazia Cristiana. Riprese la guida del Paese in seguito alla caduta del Governo Rumor e rimase in carica fino al 1976.

Il 16 marzo 1978, Moro e la sua scorta caddero in un’imboscata organizzata da quattro membri delle Brigate Rosse, un’organizzazione terroristica rivoluzionaria di estrema sinistra. Essi assassinarono cinque membri della scorta e sequestrarono Aldo Moro. Ciò sconvolse l’Italia intera, facendola scendere in piazza a manifestare. Una grande quantità di ipotesi furono avanzate, senza che si sia mai riusciti a chiarire del tutto la vicenda. L’agguato venne definito “geometrico” e la precisione dei colpi fece escludere il fatto che a sparare fossero stati dei giovani con poca formazione militare. Venne ipotizzato che la maggior parte degli spari provenissero dall’arma di un membro della ‘ndrangheta connesso ai servizi segreti. Altri elementi sollevarono sospetti: il transito di un agente dei servizi segreti in quel luogo quella mattina, la caduta improvvisa di tutte le linee telefoniche di quella zona. Il 30 marzo i rapitori diedero il permesso a Moro di pubblicare una lettera rivolta a Francesco Cossiga, il ministro degli Interni. Nella lettera Moro rinfacciava ai compagni di partito il loro rifiuto di trattare per la sua liberazione: infatti, per più di due mesi, si scatenò un dibattito sulla possibilità o meno di negoziare con i terroristi. Soltanto il Partito socialista italiano, fra i grandi partiti, era favorevole alla trattativa.

Il 18 aprile venne pubblicato un comunicato che annunciava “l’avvenuta esecuzione del presidente Aldo Moro, mediante suicidio” e la presenza del corpo nel  lago della Duchessa. Ma poco dopo le Brigate Rosse inviarono un altro comunicato, in cui attribuivano la provenienza del comunicato precedente a “specialisti della guerra psicologica” e allegavano la foto di Aldo Moro con in mano il giornale “la Repubblica” del giorno prima, come prova che fosse ancora vivo. Si seppe in seguito che Aldo Moro venne tenuto prigioniero in una stanza nascosta dietro una libreria in un appartamento in via Montalcini a Roma, sorvegliato da Mario Moretti, il dirigente della colonna romana delle BR. Il 9 maggio 1978 Franco Tritto, uno tra i più importanti collaboratori e amici di Moro, ricevette la telefonata con la quale venne informato che avrebbe potuto trovare il cadavere dell’onorevole in via Caetani.

Nel 1993 Mario Moretti confessò di essere stato lui ad assassinare Aldo Moro, affermando: “Non avrei permesso che lo facesse un altro”. Durante i due mesi di sequestro, la polizia non effettuò nessun arresto e, ancora oggi, non si sa che fine abbiano fatto molti degli scritti redatti da Moro durante la prigionia. Nei pochi ritrovati Moro accusava molto duramente i suoi compagni di partito, con parole molto amare: “Il mio sangue ricadrà su di loro”.  Nemmeno la moglie riuscì mai a perdonarli, e non permise nemmeno che venissero celebrati i funerali di Stato. Colpisce che ancora oggi, dopo 45 anni, tanti aspetti della vicenda non siano ancora stati chiariti; un motivo in più per non dimenticare.

di Maria Vittoria Girgenti

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