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Il vaso di Pandora

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Avete mai sentito l’espressione “aprire il vaso di Pandora”? È  un modo di dire che proviene dalla mitologia greca, indica la scoperta di una serie di problemi che, una volta venuti alla luce, innescano una serie di situazioni che non è più possibile fermare. Sembrerebbe così, apparentemente, uno scenario da film dell’horror o da fine del mondo, ma non sempre le cose che succedono sono catastrofi, a volte anche il calar della notte porta all’umanità un domani migliore. La versione più celebre del mito di Pandora ci viene raccontata dal poeta Esiodo, nel poema “Le opere e i giorni”, risalente all’VIII  a.C.,  Prometeo aveva rubato il fuoco per donarlo agli uomini e Zeus, per punire l’eroe dell’affronto subito, decide di incatenarlo a una rupe dove un’aquila ogni giorno divora il suo fegato, che ricresce puntualmente durante la notte. Ma la collera del padre degli dei si estende anche sull’umanità, anche gli uomini devono essere puniti! Il grande e sommo Zeus decide così di creare una donna, compito che affida al dio Efesto: Pandora appunto, etimologicamente “tutti i doni” perché ogni divinità le fa dono di una qualità: Afrodite la bellezza, Apollo la predisposizione alla musica, Ermes l’astuzia, Atena le vesti. Infine Zeus le dona un vaso, ordinandole di non aprirlo mai, senza  svelarle il contenuto.  Pandora scende dall’Olimpo a vivere sulla terra e la sua curiosità, non a caso donatale da Ermes, diventa troppa. Si chiede cosa c’è dentro il vaso e lo apre, liberando nel mondo tutti i mali in esso contenuti. I mali liberi si diffondono funestando l’umanità: la vendetta di Zeus è compiuta! Vecchiaia, dolore, preoccupazione, gelosia, pazzia, vizi, trasformano il mondo idilliaco finora incontaminato dal male, in un inferno. Ma, sul fondo del vaso, si cela ancora qualcosa che esce per ultima: la speranza! Il mondo rinasce, impossibile che torni ad essere il precedente paradiso terrestre, ma è nuovamente ospitale, abitabile, vivibile. Questa è la storia, ma dal mito impariamo a guardarci dentro a capire veramente chi siamo e che i nostri limiti sono paletti mentali che ci costruiamo ogni giorno.  La lezione da imparare, anche da questo mito,  è che noi stessi  creiamo tutti i limiti che superiamo!

Il mito del vaso di Pandora è stato molte volte riadattato dalla nostra cultura moderna, addirittura ne è nato un manga “Samurai 8”di MasashiKishimoto (autore del già famoso Naruto). Il mondo dei videogiochi vi ha fatto riferimento nella saga “God of War”. Noi tutti siamo e rappresentiamo Pandora e il suo vaso, una grande giara che poteva contenere provviste, è in realtà un’immagine metaforica che contiene il nostro vissuto. Un vissuto di emozioni, di vuoto, di desideri, tentazioni, tensioni, col quale prima o poi dobbiamo fare i conti. Paradossalmente Pandora rappresenta la nostra parte curiosa ma anche terapeutica. Aprire il vaso significa aprire il nostro mondo interiore alla nostra autentica e reale psiche, che ci mostra quelli che sono tutti i nostri desideri inespressi. Viviamo in un mondo contemporaneo sempre più omologato, dove per esserne parte occorre indossare una maschera sociale e vivere uno schema di vita fatto di regole, ma non sempre questo sistema sociale idilliaco ha successo. Basta leggere i quotidiani o accendere la TV per renderci conto che questo non è il migliore dei mondi possibili, ma se con coraggio leggiamo dentro di noi e, come un viaggio al contrario, ripartiamo da noi stessi ascoltandoci secondo quelle che sono le nostre sensazioni, i nostri  pensieri, le nostre emozioni. Se andiamo alla riscoperta del vero sé, che equivale a calarsi nel caos del nostro mondo interiore e ad aggrapparci alla speranza di rinascere nuovamente in noi stessi, se svuotiamo questo vaso di Pandora, lasceremo  uscire da esso il nostro lato nascosto, che non deve farci paura, ma deve essere un completamento del nostro io nel mondo. Allora vivremo una realtà senza filtri, senza “occhiali Rosa”, dove la luce e l’ombra sono parte complementare del tutto e dove, il primo passo per migliorare le cose e il mondo, è la consapevolezza autentica di chi siamo veramente. Vedere il nostro buio è l’unico modo per raggiungere la luce, guardiamo il nostro personale buio non nascondiamolo, ma attraversiamolo passo dopo passo. È  l’unico modo per crescere, è la nostra personale occasione di arricchimento. “La vita richiede per la sua realizzazione non la perfezione ma la pienezza, senza l’imperfezione non c’è né progresso né crescita”così ci insegna Jung.

Dedico questo testo alle professoresse Butera, sublime cultrice dell’arte, e Saporito, sublime cultrice della psicologia e psicoanalisi.

di Gregorio Davì

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